L’estate che stiamo vivendo nella sua particolarità ci ha spinto a ragionare su nuovi registri.

In Afghanistan la Scuola delle Bambine e degli orfani di guerra ha ripreso a funzionare a Luglio, le notizie ufficiali legate alla pandemia arrivano con difficoltà, la burocrazia fatica a riprendere; nonostante non sia semplice, continuiamo a seguire tutto ciò che accade attraverso il nostro responsabile locale, alle prese anche con il nuovo assetto dell’OPR dopo la morte del suo presidente. Le immagini mostrano mascherine e tentativi di ripresa.

In Camerun la vita del villaggio fa i conti con l’arrivo del Covid, le notizie dall’Italia, le nostre raccomandazioni e le indicazioni del governo. Nel frattempo si è risolto il contenzioso sulle elezioni: è stato eletto il nuovo capo villaggio, la comunità sta organizzando la festa d’”intronizzazione”, che probabilmente si svolgerà a fine mese. Le foto che arrivano testimoniano di mascherine e difficile distanziamento sociale.

In Italia, il “Magazzino Sociale” attende di essere inaugurato, si organizzano un nuovo calendario, le misure di rispetto del distanziamento sociale e si individuano le nuove date, attenti alle disposizioni governative in continuo aggiornamento, tenendo il fiato un po’ sospeso con la speranza di non dover rimandare ancora.

Ad oggi, dunque, conclusa l’attività di soccorso alle emergenze sul territorio che ci ha visti impegnati, negli ultimi mesi, con il progetto della “Spesa sospesa” e della “Raccolta di alimenti” da destinare alle famiglie in difficoltà a causa dell’emergenza sanitaria e rimaste fuori da altri tipi di aiuti, i progetti all’estero non sono raggiungibili e quello in Italia è fermo in attesa.

Ormai da anni le nostre vacanze, quando non dedicate alla parte pratica dei progetti in loco, sono dedicate a studiare il mondo osservandolo direttamente, a conoscere persone, ad approfondire temi, per poi restituire il tutto sotto forma di incontri di sensibilizzazione.

Così è stato, a maggior ragione, anche questa estate: siamo rimasti in Italia per ridurre al minimo la possibilità di mettere a rischio noi stessi e le persone che ci circondano, ma abbiamo tenuto lo sguardo rivolto oltre ogni confine.

Il viaggio dell’anno scorso, volto ad approfondire le nostre conoscenze sulla Rotta Balcanica, mancava del punto finale, così presi i necessari contatti con le realtà associative locali ci siamo diretti a Trieste, punto di approdo per quei ragazzi che riescono a superare il game. Tappa di un viaggio non ancora completamente concluso, tappa di una vita in fuga.

I giardini davanti alla stazione di Trieste sono due aree verdi attraversate da una strada che divide anche fisicamente le povertà: da un lato i clochard della città, dall’altro giovani stanchi in fila, sorpresi di trovare un sollievo alle loro ferite nelle mani solidali di premurosi esseri umani che curano, disinfettano, bendano: i volontari di Linea d’Ombra e di altre associazioni italiane che, come noi, hanno deciso semplicemente di esserci.

Due giorni ad ascoltare e ad osservare come si può provare a ridare anima al concetto di uomo: ore condivise, sorrisi, parole, panini e una pioggia scrosciante che lava, pulisce il respiro e piange per chi ormai non riesce a farlo più.

Profili di ragazzi giovani, alcuni ancora minorenni, che si dileguano dirigendosi al Silos, area appartata tra il porto e la stazione dove i migranti, per lo più afghani, pakistani e indiani, trovano un ricovero di fortuna, in attesa che le ferite guariscano e che le forze ritornino per poter proseguire. Profili di ragazzi che girano per le strade di una città dai colori delicati, di una grazia e di una bellezza struggenti, soprattutto nelle ore di passaggio tra la notte e il giorno e il giorno e la notte; di passaggio come le navi al porto, i gabbiani in volo, i poeti nei caffè, come la storia tra le pietre dei palazzi, nelle piazze e gli uomini, tutti gli uomini.

In viaggio si ricostruiscono anche le pagine della propria storia e quindi dei nonni o dei bisnonni, che le stesse strade le hanno percorse con il cuore pesante, sulle linee di confine, al fronte sul Carso, una moglie e un figlio a casa, storie spezzate ma che continuano in noi, che tra sacrari e trincee possiamo solo ricostruire per ricordare e prendere consapevolezza dell’importanza di ogni singolo uomo su questa terra.

Storia generale e storia personale, percorsi di confine e incontri, il succo del viaggio di quest’anno.

A Torino il secondo incontro con un ragazzo che ci sembra di conoscere da sempre, di lui abbiamo assaporato l’infanzia, le paure, le sofferenze… Potenza dei libri, soprattutto di quelli scritti così bene da farti vivere con il protagonista.

Enaiatollah ci raggiunge in bicicletta non lontano da Porta Susa, in un pomeriggio afoso, seduti al tavolino di un bar sotto i portici: occhi profondi, curiosi e sorridenti, il protagonista di due libri si fa umano, parla con noi.

Enaiatollah è il protagonista di due libri di Fabio Geda “Nel mare ci sono i coccodrilli” e “Storia di un figlio”, di cui è anche coautore.

Si parla di Afghanistan e di sogni… lui dà volto e parole ai profili di quei ragazzi di Trieste e a quelli incontrati a Bihac e a Sarajevo l’anno scorso e ancora prima, nel 2016, in Grecia nel campo profughi di Malakasa in Attica, lui è il loro sguardo e i loro sogni, lo è anche di quel suo piccolo amico che temeva il mare perché credeva ci fossero i coccodrilli.

L’aria fresca tra le langhe piemontesi, la scoperta di un piccolo centro nell’alessandrino, Aqui Terme, vivo di vita allegra, vacanziera, un po’ frivola, profumato di quell’aria dolce delle sere d’estate, tra odore di cibo e essenze fresche di persone a passeggio, abiti colorati e svolazzanti, note di violino tra i fumi dell’acqua termale. In questo contesto incontriamo Walimohammad, ventitrè anni di uomo già adulto, impegnato, appassionato, che studia, ricerca, vuol comprendere per far comprendere.

Afghano anche lui, fuggito attraverso la rotta anche lui, anche lui fortunosamente arrivato in Italia, scrive libri e ricostruisce la storia del suo Paese e la sua, ricordando le parole di suo padre e di sua nonna, guida e faro nella sua crescita.

Una laurea e mille sogni, un impegno costante, motivato, sincero. Ama l’Italia e si preoccupa del suo Paese che sostiene con la sua associazione seguita sul posto dalla sorella, laureata in medicina che vive e lavora lì, con il desiderio di cambiare insieme quello che sembra ormai immodificabile, partendo dall’istruzione.

L’istruzione per i giovani afghani nella loro terra è il sogno di Enaiatollah e anche di Walimohammad, è anche quello dei nostri collaboratori Rahmatullah e Shadikhan, grazie ai quali è stato per noi possibile aprire la piccola scuola della Bambine e degli Orfani di guerra a Lashkar Gah.

Incontri che aprono testa e cuore e che ci permettono di sfamare la nostra fame di sapere. Incontri nostri che presto diverranno incontri di tutti coloro che vorranno seguire gli approfondimenti che proporremo.

Un viaggio in Italia che ci ha permesso di continuare a scoprire il mondo con occhi attenti e vigili.

Livia Trigona